Navigando alla ricerca di nuovi libri da leggere ho scoperto Il viaggiatore più lento di
Enrique Vila-Matas. Ho scaricato un
estratto e me ne sono innamorata.
Nell'introduzione del suo taccuino, racconta cosa lo ha spinto a diventare uno scrittore (il sogno che condivido credo con milioni di persone) e fa una piccola apologia dell’arte della scrittura.
Se non avete voglia di scaricarvi l’estratto vi regalo di seguito qualche piccola perla:
Sono stato spesso costretto a rispondere a chi mi domanda perché scrivo. All’inizio, quando ero molto giovane e timido, utilizzavo la breve risposta che a questa domanda dava André Gide: “Scrivo per essere letto”.
...Oggi so benissimo perché desideravo essere come Malraux. Perché questo scrittore, oltre ad avere un’espressione da uomo navigato, si era costruito una fama di avventuriero e di persona bendisposta verso la vita, quella vita che avevo davanti e alla quale non volevo rinunciare.
Quello che allora ignoravo era che per essere scrittore bisognava scrivere e, per di più, scrivere come minimo molto bene, qualcosa per cui bisognava armarsi di coraggio e, soprattutto, di una pazienza infinita, quella pazienza perfettamente descritta da Oscar Wilde: “Ho trascorso tutta la mattina a correggere le bozze di una mia poesia, e ho tolto una virgola. Nel pomeriggio, l’ho rimessa”.
Tutto ciò lo spiega benissimo Truman Capote nella sua celebre prefazione a Musica per camaleonti, quando dice di essersi messo un giorno a scrivere senza sapere che si sarebbe legato per tutta la vita a un padrone nobile ma implacabile: “All’inizio era molto divertente. Smise di esserlo quando scoprii la differenza tra scrivere bene e scrivere male; in seguito feci un’altra scoperta, ancora più allarmante: la differenza tra scrivere bene e la vera arte; è sottile, ma brutale”...
È qualcosa di terribile ma che consiglio a tutti, perché scrivere è correggere la vita – anche se si corregge una sola virgola al giorno –, è la sola cosa che ci protegge dalle ferite insensate e dai colpi assurdi inferti dall’orrenda vita reale (proprio perché è orrenda, il tributo che si deve pagare per scrivere e rinunciare a una parte della vita vera, non è così duro come si potrebbe credere).
Uno scrittore deve puntare al massimo e sapere che l’importante non è la fama o l’essere scrittore, ma scrivere, legarsi per sempre a un padrone nobile ma implacabile, un padrone che non fa concessioni e che porta i veri scrittori sulla strada dell’amarezza, come ben si coglie in frasi come questa di Marguerite Duras: “Scrivere significa cercare di capire che cosa scriveremmo se scrivessimo”.
Oppure, come diceva Italo Svevo, è la cosa migliore che possiamo fare in questa vita e, proprio per questo, dovremmo desiderare che la facessero tutti: “Quando tutti lo comprenderanno con la chiarezza ch’io ho, tutti scriveranno. La vita sarà letteraturizzata. Metà dell’umanità sarà dedicata a leggere e studiare quello che l’altra metà avrà annotato. E il raccoglimento occuperà il massimo tempo che così sarà sottratto all’orrida vita vera. E se una parte dell’umanità si ribellerà e rifiuterà di leggere le elucubrazioni dell’altra, tanto meglio. Ognuno leggerà se stesso”.
Se si leggono gli altri e se ci si legge, vedo poco spazio per le esplosioni belliche, e molto, in compenso, perché un uomo mostri la sua predisposizione a rispettare i diritti degli altri, e viceversa.
Non c’è niente di meno aggressivo di un uomo che abbassa lo sguardo per leggere il libro che ha in mano. Bisognerebbe partire alla ricerca di questo raccoglimento universale.
Mi si dirà che è un’utopia, ma solo nel futuro tutto è possibile.
E. V.-M., autunno 2000
Che ve ne pare?
Per quanto mi riguarda credo proprio che lo andrò a comprare!